Non si può non iniziare il nostro
contributo al dibattito su questa pubblicazione senza una annotazione
linguistico-semantica sul titolo: “Contro i ladri di speranza - Come la Chiesa
resiste alle mafie”.
L’uso del termine
“contro”, nel mio immaginario, è una scelta consapevole e rappresenta una
piccola rivoluzione sia culturale sia metodologica: l’opposizione a un
fenomeno, quello delle mafie, comunque e dovunque si manifesti.
La seconda annotazione
riguarda il termine “mafie” che individua l’offesa della dignità e della
condizione umana in più fenomeni criminali con una estensione semantica fino
allo sfruttamento della condizione sociale umana.
Il particolareggiato
“excursus” sulle pastorali della Chiesa cattolica è interessante per capire
anche sotto il profilo storico il percorso che ha consentito alla stessa di
prendere coscienza di questo fenomeno, anzi di questi fenomeni.
Monsignor Massimo Naro
mette bene in risalto il fatto che le “mafie” vengono riconosciute non solo
come comportamenti umani distorti bensì come organizzazione criminali vere e
proprie. Pertanto, a mio avviso, opporvisi concerne una vera e propria
revisione teologica da parte della Chiesa.
La domanda potrebbe
essere formulata in questo modo: “Quale è l’atteggiamento più adeguato che la
Chiesa deve tenere nei confronti delle mafie?”.
A mio parere, il
comportamento più efficace non può limitarsi alla denuncia pubblica ma deve
consistere nell’aiuto materiale e immateriale alle vittime dirette o indirette
delle mafie. Come si fa a non pensare a chi, come Don Pino Puglisi, ha
sacrificato la sua vita per la sua opera pastorale in questo contesto.
Prendiamo in prestito le sue parole: “La cultura sottesa alla
mafia è la svendita del valore della dignità umana…Le parole vanno convalidate
dai fatti”.
Eccoci al punto:
fatti. Quali fatti? Quali azioni? Individuali o collettive? Legate
all’iniziativa di qualche coscienza sensibile o di sistema? Ovviamente il
ragionamento è tutto interno alla Chiesa. Ancora: le iniziative tradizionali
dell’azione cattolica, pastorali in genere sono sufficienti per contrastare il
fenomeno? Sicuramente no. Se non sono baste finora, figurarsi in un mondo che
diventa sempre più complesso.
E allora? Cos’altro
viene chiesto di fare alla Chiesa?
Nell’opera di don
Massimo Naro è presente una tensione intellettuale e morale che, ovviamente, fa
riferimento a Dio. Cito due brani: “Il papa polacco spiegava – riprendendo
implicitamente Gaudium et spes 22 – che l’altissima ed inviolabile
dignità personale degli uomini consiste in questa parentela con Dio, in questa
somiglianza con lui”. Più avanti Don Massimo chiosa:”
Quest’intreccio tra il dirsi divino e la coscienza umana, fra la tenacia della
fede e il vigore dell’ethos, potrebbe produrre quel “nuovo umanesimo
mediterraneo” di cui hanno scritto i vescovi italiani nel 2012 nella nota
“Amate la giustizia voi che governate sulla terra”.
Quindi per don Massimo
la soluzione va cercata nell’intreccio tra fede e ethos. Dunque, ethos come
progetto di vita che per un cattolico può essere vivere la vita in santità
nella misura in cui dà conto delle sue “azioni” non solo alla sua “coscienza”
ma a Dio attraverso la Sua comunità. Per intendersi, la filosofia del “fare” da
rendicontare ai propri fratelli, alla propria parrocchia, non solo al
sacerdote. Pertanto, esperito il tentativo di conversione, presa di distanza
dal comportamento mafioso ma anche dal mafioso, impegno civile nel rispetto
delle condizioni del lavoro dovunque e comunque questo si manifesti.
Resta da affrontare
l’aspetto di “sistema”: la Chiesa, oltre alle pastorali, come agisce di fronte
alle mafie? Oltre al “dichiarato” qual è l’”agito”?
D’altra parte, c’è la
fede o “dirsi divino” che dovrebbe nelle intenzioni di don Massimo, insieme con
l’ethos, generare questo nuovo “umanesimo mediterraneo” il quale sembra
profilarsi sullo sfondo di un nuovo ecumenismo che abbraccia non solo i popoli
di tutte le terre ma anche di tutte le fedi religiose e appartenenze culturali.
Sembra invocare un “nuovo patto” con Dio nel quale si ridefinisce il percorso
della Chiesa cattolica nel mondo e nella Storia.
Senza avventurarmi in
disquisizioni teologiche, mi sia consentito di utilizzare le parole che lo
stesso Don Massimo Naro pronunciò in occasione della presentazione del libro di
Enzo Sardo sul fratello, vescovo Naro, alla Fondazione Sciascia: Dio è politico
e, pertanto, non è immutabile”. Alla mia domanda: “in dipendenza di ciò, Dio
può essere il governo delle cose buone e la ribellione alle cose cattive”,
rispose: “È così, questa è la nostra idea di Dio”.
Ecco, quella è anche la mia idea di Dio!
In ultima analisi, di un Dio
la cui fenomenologia è quella della coscienza umana, intesa esattamente come le
azioni sempre più consapevoli compiute dagli uomini nella società e nella
Storia, che ha come finalità la santità di tutti e di ciascuno in una tensione
etica e una dimensione politica che hanno come obbiettivo non solo lo stare
meglio ma soprattutto lo stare bene insieme condividendo sia le risorse
culturali sia quelle materiali, senza sussunzione delle condizioni di vita di
alcuno al potere di altri.
Vincenzo Fontana
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