giovedì 1 febbraio 2018

VINCENZO FONTANA, Intervento alla presentazione di "Contro i ladri di speranza"

Non si può non iniziare il nostro contributo al dibattito su questa pubblicazione senza una annotazione linguistico-semantica sul titolo: “Contro i ladri di speranza - Come la Chiesa resiste alle mafie”.
   L’uso del termine “contro”, nel mio immaginario, è una scelta consapevole e rappresenta una piccola rivoluzione sia culturale sia metodologica: l’opposizione a un fenomeno, quello delle mafie, comunque e dovunque si manifesti.

   La seconda annotazione riguarda il termine “mafie” che individua l’offesa della dignità e della condizione umana in più fenomeni criminali con una estensione semantica fino allo sfruttamento della condizione sociale umana.
   Il particolareggiato “excursus” sulle pastorali della Chiesa cattolica è interessante per capire anche sotto il profilo storico il percorso che ha consentito alla stessa di prendere coscienza di questo fenomeno, anzi di questi fenomeni.
   Monsignor Massimo Naro mette bene in risalto il fatto che le “mafie” vengono riconosciute non solo come comportamenti umani distorti bensì come organizzazione criminali vere e proprie. Pertanto, a mio avviso, opporvisi concerne una vera e propria revisione teologica da parte della Chiesa.
   La domanda potrebbe essere formulata in questo modo: “Quale è l’atteggiamento più adeguato che la Chiesa deve tenere nei confronti delle mafie?”.
   A mio parere, il comportamento più efficace non può limitarsi alla denuncia pubblica ma deve consistere nell’aiuto materiale e immateriale alle vittime dirette o indirette delle mafie. Come si fa a non pensare a chi, come Don Pino Puglisi, ha sacrificato la sua vita per la sua opera pastorale in questo contesto. Prendiamo in prestito le sue parole: “La cultura sottesa   alla mafia è la svendita del valore della dignità umana…Le parole vanno convalidate dai fatti”.
   Eccoci al punto: fatti. Quali fatti? Quali azioni? Individuali o collettive? Legate all’iniziativa di qualche coscienza sensibile o di sistema? Ovviamente il ragionamento è tutto interno alla Chiesa. Ancora: le iniziative tradizionali dell’azione cattolica, pastorali in genere sono sufficienti per contrastare il fenomeno? Sicuramente no. Se non sono baste finora, figurarsi in un mondo che diventa sempre più complesso.
    E allora? Cos’altro viene chiesto di fare alla Chiesa?
   Nell’opera di don Massimo Naro è presente una tensione intellettuale e morale che, ovviamente, fa riferimento a Dio. Cito due brani: “Il papa polacco spiegava – riprendendo implicitamente Gaudium et spes 22 – che l’altissima ed inviolabile dignità personale degli uomini consiste in questa parentela con Dio, in questa somiglianza con lui”.  Più avanti Don Massimo chiosa:” Quest’intreccio tra il dirsi divino e la coscienza umana, fra la tenacia della fede e il vigore dell’ethos, potrebbe produrre quel “nuovo umanesimo mediterraneo” di cui hanno scritto i vescovi italiani nel 2012 nella nota “Amate la giustizia voi che governate sulla terra”.
   Quindi per don Massimo la soluzione va cercata nell’intreccio tra fede e ethos. Dunque, ethos come progetto di vita che per un cattolico può essere vivere la vita in santità nella misura in cui dà conto delle sue “azioni” non solo alla sua “coscienza” ma a Dio attraverso la Sua comunità. Per intendersi, la filosofia del “fare” da rendicontare ai propri fratelli, alla propria parrocchia, non solo al sacerdote. Pertanto, esperito il tentativo di conversione, presa di distanza dal comportamento mafioso ma anche dal mafioso, impegno civile nel rispetto delle condizioni del lavoro dovunque e comunque questo si manifesti. 
   Resta da affrontare l’aspetto di “sistema”: la Chiesa, oltre alle pastorali, come agisce di fronte alle mafie? Oltre al “dichiarato” qual è l’”agito”?
   D’altra parte, c’è la fede o “dirsi divino” che dovrebbe nelle intenzioni di don Massimo, insieme con l’ethos, generare questo nuovo “umanesimo mediterraneo” il quale sembra profilarsi sullo sfondo di un nuovo ecumenismo che abbraccia non solo i popoli di tutte le terre ma anche di tutte le fedi religiose e appartenenze culturali. Sembra invocare un “nuovo patto” con Dio nel quale si ridefinisce il percorso della Chiesa cattolica nel mondo e nella Storia.
   Senza avventurarmi in disquisizioni teologiche, mi sia consentito di utilizzare le parole che lo stesso Don Massimo Naro pronunciò in occasione della presentazione del libro di Enzo Sardo sul fratello, vescovo Naro, alla Fondazione Sciascia: Dio è politico e, pertanto, non è immutabile”. Alla mia domanda: “in dipendenza di ciò, Dio può essere il governo delle cose buone e la ribellione alle cose cattive”, rispose: “È così, questa è la nostra idea di Dio”.
Ecco, quella è anche la mia idea di Dio! 
  In ultima analisi, di un Dio la cui fenomenologia è quella della coscienza umana, intesa esattamente come le azioni sempre più consapevoli compiute dagli uomini nella società e nella Storia, che ha come finalità la santità di tutti e di ciascuno in una  tensione etica e una dimensione politica che hanno come obbiettivo non solo lo stare meglio ma soprattutto lo stare bene insieme condividendo sia le risorse culturali sia quelle materiali, senza sussunzione delle condizioni di vita di alcuno al potere di altri.
Vincenzo Fontana 

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